Giacomo Stucchi - Senatore Lega Nord Padania -

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martedì, marzo 13, 2007

Riforma elettorale, subito un'intesa politica

di Giacomo Stucchi


E’ possibile che intorno a queste inusuali consultazioni del presidente del Consiglio con le forze politiche, sul percorso da seguire per realizzare la riforma elettorale, si stia creando un po’ di confusione. Ed è per questo che, a mio avviso, bisognerebbe fare alcune precisazioni per far capire ai cittadini cosa sta accadendo. Punto primo. La Lega Nord, come ha ribadito lo stesso segretario federale Umberto Bossi, ha come priorità assoluta la riforma della legge elettorale. Senza stare a fare troppi giri di parole il punto è che senza la riforma si andrebbe dritti dritti al referendum e quindi ad un sistema di voto che taglia fuori i movimenti, come appunto la Lega Nord, che non vogliono perdere la loro sovranità per farsi fagocitare dai partiti maggiori. Nel nostro caso, la conseguenza di questa malaugurata ipotesi, sarebbe la sepoltura delle istanze federaliste del Nord e la fine dell’ormai ventennale lotta padana contro lo strapotere di Roma e dei partiti centralisti. Punto secondo. Le consultazioni con Palazzo Chigi fanno registrare un’apertura del Governo a fare, oltre alla nuova legge elettorale, anche alcune riforme istituzionali. Sarebbe una buona notizia se non fosse che questo significa impiegare almeno due o tre anni di tempo e quindi permettere al referendum di essere celebrato. Ed è per questo che, se si vuol fare davvero una nuova legge elettorale, bisogna allora sottoscrivere subito un intesa politica, prima delle elezioni amministrative di fine aprile, che sgombri il campo da dubbi ed eventuali ripensamenti dei partiti. Soprattutto di quelli che al momento sulla questione stanno con un piede dentro e un altro fuori. Agitano cioè la bandiera del riformismo, concordando sul fatto che una nuova legge elettorale deve essere fatta, ma poi mandano in avanscoperta i loro emissari all’interno dei comitati promotori dei referendum. E’ il solito giochetto, tipico della Prima Repubblica, di giocare con due o più mazzi di carte allo scopo di trovarsi sempre dalla parte giusta. Punto terzo. Contro il referendum in sé, ovvero come strumento di consultazione popolare, la Lega non ha niente da eccepire e nessuno può venire a darci lezioni di democrazia in tal senso. E se anche quello sulla riforma elettorale si dovesse celebrare, il Carroccio si attrezzerebbe, con gli strumenti democratici che gli sono propri, per far capire ai cittadini che nel caso in questione attraverso questo istituto si vuole mettere la sordina a partiti che stanno scomodi al sistema centralista, purtroppo ancora radicato nelle istituzioni, perché rivendicano istanze territoriali non riconducibili a schemi ideologici. Punto quarto. L’apertura di Prodi sulle riforme, a mio parere, non può significare a) un inversione di rotta nel giudizio sull’operato di questo governo, che sta continuando a fare danni in tutti i settori della vita sociale ed economica b) una fiducia incondizionata in ciò che il Professore ne ricaverà da queste consultazioni. Che solo le prossime mosse potranno dire se servono più a lui, per rinnovare il suo ruolo di leader della coalizione o magari soltanto per prendere tempo, o al sistema politico e quindi ai cittadini. Come uomo della Padania, e come parlamentare leghista, non posso peraltro fare a meno di osservare che se la riforma costituzionale voluta a suo tempo dalla Lega (dalla modifica del bicameralismo perfetto al Senato delle regioni; dalla riduzione del numero dei parlamentari ai maggiori poteri al presidente del Consiglio), non fosse stata tanto osteggiata dal centrosinistra nella campagna elettorale per la consultazione referendaria, di certo noi oggi non ci ritroveremmo in questa situazione. Sicchè se, da un lato, ci fa piacere che il Governo sia disponibile a discutere di riforme adesso, dall’altro lato, ci chiediamo perché il centrosinistra le affossò quando era possibile farle davvero. Delle due l’una: o l’Unione era in male fede allora, o lo è adesso. In questo quadro desolante l’unica buona notizia, se così si può dire, ci sembra essere la decisione dei presidenti di Senato e Camera, Franco Marini e Fausto Bertinotti, di far cominciare a Palazzo Madama l’iter parlamentare della riforma elettorale,e alla Camera dei deputati l'esame delle modifiche costituzionali in materia di bicameralismo. Ma crediamo sia ancora poco per essere ottimisti sul buon esito delle riforme.