Giacomo Stucchi - Senatore Lega Nord Padania -

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mercoledì, ottobre 24, 2007

Chi governa a Palazzo Chigi?

di Giacomo Stucchi

Bene, bravi. Prendiamo per buoni i dati dichiarati sull’affluenza di cittadini alle primarie per l’elezione del segretario del Partito Democratico e ci complimentiamo con l’eletto per il consenso ottenuto. Detto questo, siamo punto e capo. Nel senso che il voto del 14 ottobre, al momento, non risolve nessuno dei problemi attualmente sul tappeto, anzi complica le cose. Ne è una prova il frettoloso rientro del presidente del Consiglio a Roma, domenica scorsa, quando è parso evidente a tutti la preoccupazione di Prodi di stare accanto al neo segretario per “comunicare” al pubblico la piena sintonia tra i due. Entrambi, nel rilasciare interviste agli ossequiosi giornalisti della televisione pubblica, nonostante la diplomazia di rito e le promesse a non pestarsi i piedi l’un l’altro, hanno però dato l’idea di che cosa ci aspetta nei prossimi gironi: un susseguirsi di prese di posizione dei due che presumilbilmnete rivendicheranno l’uno il ruolo di segretario del più grande partito della coalizione, l’altro, quello di Presidente del Consiglio. Come chiamare questa situazione? Coabitazione, tandem, dualismo, connivenza? Qualsiasi parola si possa usare, la sostanza è che il centrosinistra, con la nascita del Partito Democratico, potrebbe aver dato una mano a semplificare il quadro politico (il condizionale è comunque d’obbligo, considerate le defezioni che hanno accompagnato la fase di gestazione del nuovo schieramento e il conseguente proliferare di gruppi), ma è anche stato in grado di cacciarsi in un pasticcio che non ha precedenti nella storia repubblicana e non ha eguali nelle democrazie occidentali. A cosa alludo è facile intuirlo: il segretario del più grande partito della maggioranza di governo, oltre a non ricoprire l’incarico di presidente del Consiglio, si comporta, almeno dalle dichiarazione sin qui rilasciate, come se a Palazzo Chigi ci fosse ancora Silvio Berlusconi. In altre parole, Veltroni promette ai suoi elettori un nuovo slancio, soprattutto sul fronte delle riforme e della diminuzione delle tasse, ma dimentica che sino ad oggi chi non ha fatto nulla su questo fronte è stato proprio il Governo che lui sostiene. Il segretario e il presidente del Consiglio, per quanto facciano intendere alla gente di essere in sintonia, stanno dando vita ad un gigantesco equivoco che non farà altro che complicare l’azione di Governo. Ecco perché, anziché sproloquiare sulla necessità delle riforma del bicameralismo perfetto o dei poteri di revoca dei ministri al presidente del Consiglio (tutte cose che erano previste nella riforma costituzionale voluta dalla Lega Nord ma che è stata bocciata dal referendum, poco più di un anno fa, grazie anche alla propaganda di demonizzazione fatta dal centrosinistra) Prodi e Veltroni dovrebbero rispondere ad una sola domanda: chi detta l’agenda politica del Governo? Si tratta di una risposta che i due farebbero bene a dare in fretta. Se guardiamo, infatti, alle scadenze parlamentari che aspettano esecutivo e Pd in Parlamento (dalla sicurezza al welfare, dalla Finanziaria alle riforme), e alle divisioni che sino ad oggi hanno caratterizzato le diverse componenti della coalizione di centrosinistra, i cittadini non possono che aspettarsi il peggio. “Vi stupiremo con il nostro modo di fare politica”, ha detto, tra l’altro, il neosegretario nella sua prima conferenza stampa, e c’è da tremare alla sola idea di che cosa possa significare una simile affermazione. A giudicare da come sono andate le cose tra Ulivo e sinistra radicale, nei primi diciotto mesi di legislatura, non c’è motivo di credere che un partito, nuovo nel nome ma non nella sostanza, possa invertire radicalmente la rotta. E allora, che cosa aspettarci nell’immediato futuro? A naso direi, né più né meno del film già visto in questi mesi: un estenuante e sterile braccio di ferro tra la sinistra radicale e il neo Partito Democratico.
Tratto da LA PADANIA del 24 ottobre 2007