Giacomo Stucchi - Senatore Lega Nord Padania -

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mercoledì, novembre 28, 2007

Adesso è caos

di Giacomo Stucchi

Il timore che una fase politica già complicata per tante ragioni, la prima delle quali consiste nell’ostinazione con la quale il presidente del Consiglio rifiuta di prendere atto del fallimento del suo Governo, si possa trasformare in caos generale è più che concreto. Alla fine, infatti, il Governo ha ceduto e alla Camera ha chiesto la fiducia sul ddl Welfare. Prima di arrivare a questa decisione però Palazzo Chigi ha tergiversato sino all’ultimo istante. Nemmeno un provvedimento così importante, strettamente connesso (per gli impegni economici che comporta) alla manovra economica, è riuscito a mettere d’accordo la maggioranza che resta divisa. Prodi getta acqua sul fuoco, proponendo una sorta di via di mezzo tra il Protocollo di luglio firmato dalle parti sociali e il testo elaborato dalla commissione Lavoro di Montecitorio ma il clima rimane confuso e incerto. Tanto che Rifondazione comunista ha riunito d'urgenza l'esecutivo per decidere quale comportamento tenere: "Il governo - afferma il capogruppo di Rifondazione in commissione Lavoro Augusto Rocchi - non ha dimostrato autonomia da Confindustria, questo pone un problema politico". Insoddisfatti anche Enrico Boselli e Gavino Angius che voteranno la fiducia ma che, dopo una riunione con Prodi sui contenuti del maxiemendamento, hanno dichiarato: "Da questo momento anche i socialisti avranno le mani libere". Sul piede di guerra anche il Pdci. Per Manuela Palermi, capogruppo al Senato, "è impossibile stare al governo con l'Italia dei poteri forti". Alla fine, quindi, sul tappeto ci sta l’ennesimo compromesso tra le forze politiche della maggioranza: i liberaldemocratici di Lamberto Dini contrari a ritoccare il testo originario, mentre Rifondazione Comunista preme affinché si voti sul testo modificato in Commissione. Per quanto l’Esecutivo si sia sforzato di metterci una pezza, questo provvedimento, annunciato con strilli di tromba, è stato invece affrontato in modo poco edificante, sia dal punto di vista politico che da quello istituzionale. Sul fronte delle riforme, invece, continuano le consultazioni del premier ombra Veltroni, ma poiché non si capisce se il sindaco di Roma parli a nome del Partito Democratico o del Governo, o di qualcos’altro ancora, l’impressione è che i “faccia a faccia” anziché semplificare le cose le complichino di più. Il timore dei partiti più piccoli dell’Unione è che Veltroni stia giocando con più mazzi di carte e che alla fine il suo obiettivo potrebbe essere proprio quello di tagliarli fuori con una legge elettorale che favorisca il bipartitismo. Ecco perché hanno già messo in guardia il segretario del Pd dal prendere accordi con Berlusconi in tal senso: un passo falso in questa direzione e il “ramo sul quale sta seduto Prodi potrebbe spezzarsi”. Sullo sfondo di questo dialogo tra sordi c’è, come è noto, anche il referendum. La consultazione elettorale, se celebrata, potrebbe sancire di fatto un sistema elettorale con il quale tutti i seggi vengono ripartiti tra i due partiti che ottengono il maggior numero di voti; ma questa soluzione lascerebbe irrisolti tutti gli altri problemi istituzionali: dai regolamenti parlamentari ai poteri del premier, dal bicameralismo perfetto (che ingessa il procedimento legislativo) all’eccessivo numero dei parlamentari. In questo ginepraio ci sono poi, purtroppo solo per ultimi, i problemi dei cittadini. Nei suoi primi diciotto mesi di Governo, Prodi e i suoi ministri non se ne sono curati affatto, costringendo centinaia di sindaci, soprattutto del Nord, a scendere in piazza. I primi cittadini vogliono che Roma lasci loro le mani libere per poter affrontare seriamente i problemi che rendono la vita della gente maledettamente difficile. Chissà quando, però, il Governo e la maggioranza di centrosinistra, troppo impegnati a salvaguardare le poltrone e a curare solo i propri interessi, cominceranno ad ascoltarli davvero.