Giacomo Stucchi - Senatore Lega Nord Padania -

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mercoledì, giugno 18, 2008

TRATTATO UE, IL “NO” IRLANDESE E' UN’OCCASIONE PER RIFLETTERE


di Giacomo Stucchi

Quello sul futuro dell’Unione europea non è un argomento da “addetti ai lavori”, ma riguarda il futuro di tutti i cittadini. Dopo il risultato del referendum in Irlanda, che ha bocciato la ratifica del Trattato di Lisbona, niente è più come prima e non è un caso se a Bruxelles si vivono ore di ambasce per le decisioni che dovranno essere prese per superare l’impasse. In questi giorni sugli irlandesi è stato detto davvero di tutto. Solo perché hanno “osato” opporsi agli euro burocrati, gli è stato anche rinfacciato di essere stati ingrati con l’Ue. L’Irlanda, dicono i falsi ben pensanti nelle ovattate stanze dell’europarlamento, ma anche alcuni osservatori votati alla “causa europeista”, ha avuto tanto dall’Unione e adesso ricambia così. A noi questo ragionamento pare un po’ surreale. In primo luogo, perché il “no” al Trattato non è altro che il risultato di una espressione di voto popolare. Non esiste un istituto di consultazione più democratico del referendum, e perciò non si può rinfacciare al popolo, che molto opportunamente ha deciso di esercitarlo, l’esito del voto. Che è, lo ripetiamo, popolare e quindi insindacabile. In secondo luogo, il dibattito sull’esito del referendum a noi pare più una foglia di fico, dietro la quale nascondere le molte cose che non vanno nell’attuale processo di integrazione europea. La verità è che l’Ue a 27 non funziona, ma i capi di Governo continuano a sottoscrivere accordi che poi i popoli rigettano. E’ successo nel 2005 con il voto negativo di Francia e Olanda alla Costituzione europea, e la storia si è ripetuta adesso con il referendum irlandese. Forse è giunto il momento di chiedersi perché i Trattati Ue vadano avanti solo se ratificati nei Parlamenti, mentre invece si arenano tutte le volte che è il voto popolare a dover decidere. E’ possibile che gli irlandesi, una volta avuto quello che volevano dall’Ue, adesso non siano interessati ad un’integrazione politica. E allora? Nessuno può fargliene una colpa, tanto meno i capi di Stato o di governo degli altri Stati membri dell’Ue. Anche perché, se proprio vogliamo entrare nel merito, nessuno può negare che il Trattato di Lisbona, con più di 400 articoli, che nessuno conosce e che sono intrisi di idee tanto inutili quanto irrealizzabili, come per esempio quella dell’unico rappresentante europeo per la politica estera o l’altra del voto a maggioranza invece di quello all’unanimità, ha davvero poco appeal. Non saprei dire se gli irlandesi, come del resto i francesi e gli olandesi tre anni fa, abbiano avuto paura della nuova Ue, di certo però non hanno avuto fiducia. Qualcuno ha detto che l’Europa ha perso il “cuore”, ovvero l’entusiasmo che negli anni passati aveva portato alla nascita dell’Unione, ma la verità è che non sapremo mai cosa sarebbe accaduto se a dire la loro, quando negli anni Cinquanta nacque la Cee, fossero stati i popoli, anziché i Governi. Oggi la soluzione al “no” di Dublino non può essere quella di fare come lo struzzo e fare finta di niente ma, al contrario, dovrebbe essere quella di tenere conto della volontà popolare e comportarsi di conseguenza. Per quanto riguarda l’Italia, è vero che la Costituzione prevede che a ratificare i Trattati internazionali sia il Parlamento, ma è anche vero che quello di Lisbona non è un Trattato qualsiasi, come gli altri, ma comporta l’adesione ad un super Stato (del quale francamente nessuno sente la necessità) e pertanto richiederebbe una riflessione che vada al di là delle aule parlamentari.