LA BATOSTA DEL VOTO SICILIANO HA LASCIATO IL SEGNO NEL PD
di Giacomo Stucchi
All’ennesima reprimenda dell’Unione europea, che con il vice presidente
della Commissione europea Jyrki Katainen ha accusato il
governo di non dire la verità sui conti pubblici, ha provato a rispondere il
premier Paolo Gentiloni, sostenendo che il
nostro Paese non è più il “fanalino di coda dell’Ue”. Ma il giudizio negativo di
Bruxelles, che deriva certo dall’insoddisfazione per i numeri in senso stretto
della nostra economia che procede sempre a passo di lumaca, chiama in causa
anche l’inefficacia delle politiche economiche portate avanti da Palazzo Chigi
negli ultimi anni. Politiche che, peraltro, sono messe in discussione dalla
stessa variegata galassia di partiti e partitini che ruotano intorno al Pd e ai
quali un Renzi ormai disperato cerca di ammiccare in tutti i
modi, avvalendosi anche dell’emissario Piero Fassino. Insomma, un cambio
di strategia evidente da parte dell’ex premier che, come se nulla fosse, è
passato dalla teoria del partito autosufficiente a quella
della coalizione a tutti i costi. Segno evidente che la batosta del
voto siciliano ha lasciato il segno al Nazareno, dove sono ormai ben consapevoli
che il voto nazionale darà loro il colpo di grazia.
L’affannarsi dei dirigenti Dem nelle infinite ed estenuanti
contrattazioni, con ipotetici alleati, sulla leadership ma anche su
provvedimenti legislativi dell’ultima ora da approvare ai tempi supplementari
della legislatura, la dice lunga sul clima da allarme rosso che si respira nel
Pd. Ma sul piano concreto si tratta solo di aria fritta, anche perché il
fallimento totale
di Renzi è nei fatti e a
poco serve, oggi, cercare di raddrizzare provvedimenti, come quello sul lavoro,
che non ha certo risolto il dramma della
disoccupazione, soprattutto tra i giovani. Checche’ ne
dica la narrazione renziana, la verità è che famiglie e imprese continuano ad
arrancare e il governo utilizza la manovra economica per fare campagna
elettorale anziché guardare alle soluzioni strutturali. Ma anche i nostri
partner europei, ormai, conoscono bene le costose politiche dei bonus del Pd,
che non portano a un’effettiva crescita ma solo a vantaggi effimeri per questa
o quell’altra categoria; e per questo mettono le mani avanti ed esprimono tutti
i loro dubbi. Il timore, più che concreto, è che il governo stia agendo nella
speranza che i beneficiari di determinate misure se ne ricordino nel segreto
dell’urna quando andranno a votare nel 2018.
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